Parigi è…..
come una zia a cui vuoi molto bene, bellissima, elegante e di gran classe; non è una con cui vorresti andare ad abitare (il clima è un po’ più umido del lecito, un po’ più freddo del lecito e soprattutto non c’è il mare) ma senti il bisogno e il piacere di andarla a trovare ogni tanto. Per sentirla parlare col suo accento nobile così diverso dalla còcina provinciale usata nel luogo in cui vivi, per congratularti con lei per i periodici “lifting” che si fa qua e là per riaggiustare le rughe del suo bimillenario corpo; ritocchi che, lungi dal darle un aspetto di vecchia carampana rifatta, la rendono davvero “più giovane”, o meglio contribuiscono al mantenimento del suo aspetto di creatura eternamente giovane qual’essa è.
Le tipiche domande del turista “sei mai andato a Parigi?” e “quante volte sei stato a Parigi?” non hanno senso: chi chiederebbe mai “quante volte sei andato a trovare tua zia”? A casa della zia tanto amata ci si va ogni volta che capita, senza dire “ci sono già stato nove volte, adesso vado da un’altra parte”. Andare a Parigi non è fare un viaggio, è un piacere della vita, e come tale va goduto di tanto in tanto, cogliendo tutte le occasioni che si presentano, congressi scientifici, viaggi giovanili con carovane di amici, finesettimana ideati dalla moglie e dalle sue colleghe impallate da Leonardo da Vinci e dal suo esoterico codice gnostico-romanzato, che in fondo è un buon alibi per trascorrere una giornata d’autunno dentro il Louvre.
Parigi è…
una moglie, due sue colleghe d’ufficio, la sorella di una di esse e la figlia decenne di colei; il mio secondo viaggio abroad come unico uomo fra tante donne. Il primo fu la Spagna 1988, in cinque sulla Ritmo bianca. Come in quello, anche in questo la compagnia è stata piacevolissima
l’ottimo volo low-cost Easyjey Nizza-Orly a/r, aerei puntualissimi, addirittura al ritorno siamo atterrati a Nice in anticipo! Un caso, certo, non si ripeterà più
i passeri dei giardini di Notre Dame che sciamano sulle dita dei passanti che offrono loro briciole di pane e biscotti
il topolino che sbuca dal cespuglio dei giardini per raccogliere le briciole cadute dalle dita dei passanti e dimenticate dai passeri
le piazzette del Marais coi giardinetti nascosti fra i palazzi dei nobili dell’Ancien Regime e le botteghe delle vie ebraiche
l’acacia quattrocentenaria di Saint Julien le Pauvre vestita d’edera, chissà quanti parigini sanno di avere in pieno centro un patriarca vegetale di tanta gloria e vetustà
una lettera autografa di Napoleone e un’altra di Stendhal esposte nella vetrina di un antiquario di Rue Bonaparte. Avrei voluto entrare a chiedere quanto costano ma non avevo certo la faccia (e l’abbigliamento) di uno in grado di acquistarle
la pasticciera Ladurèe in rue Bonaparte, rutilante di eleganza, colori e torte grevi di burro e cioccolato. Troppo grevi di burro, per me che non impazzisco per i dolci. Sublime, pare, la cioccolata in tazza. Delizioso, lo so per certo, il succo di frutta alla pesca di vigna. Difficile trovare un tavolo per sedersi, a qualunque ora
quel ristorantino del Marais di cui mi piacerebbe ricordarmi il nome nascosto fra gli alberi silenziosi di Place Sainte Catherine, fra il traffico di Rue de Rivoli e la quiete di Place des Vosges; un locale pacchianamente policromo, ebraico-americaneggiante e cinematografico, gestito da un duo dai tratti somatici indo-ebraici. Uno indiano, l’altro ebreo. Clientela (a parte noi) apparentemente intellettual-artistica
gli Champs Elisée natalizi, illuminati – ma nemmeno troppo – sono lunghetti da percorrere a piedi in giù dall’Arco di Trionfo all’Arco del Carrousel nel crepuscolo nebbioso che diventa notte fredda. Tutto sommato dalle eleganti dita della piccola fiammiferaia Monica Bellucci che li aveva accesi pochi giorni prima mi sarei aspettato un po’ più di sciato luminario. Forse l’energia elettrica costa cara anche nella Francia nucleare, non solo nell’Italia veteropetrolifera. Veronica (la più giovane del gruppo) era davvero stanca alla fine della camminata, poverina! O forse noi avevamo un contegno adulto da mantenere e dissimulavamo
Naturalmente non basta un giorno per visitare tutto il Louvre, né avrebbe senso farlo. Uno mica si legge tutta l’enciclopedia da Abacuc a Zwingli, no? Ça va sans dire che in un giorno feriale di autunno si cammina senza sgomitare fra statue e quadri. Le folle si trovano solo davanti alla Nike di Samotracia, alla Venere di Milo e nel corridoione dei pittori italiani. Gran svolazzare di braccia, teste, macchine fotografiche e videofonini davanti a Miss Louvre, Monna Lisa del Giocondo, opportunamente tenuta a distanza dagli scalmanati grazie a robuste transenne. Terza volta che andavo a trovarla, la prima che riesco a fotografarla decentemente, le macchine digitali fanno miracoli anche senza flash
Buon successo di pubblico lo ottengono anche la Vergine delle Rocce, le Stagioni dell’Arcimboldo, Caravaggio…. Ma sarà una moda o i pittori italiani piacciono tanto perché son davvero er mejo?
Pletoriche e scarsamente visitate le sale dedicate ai pittori francesi. Beh, fatti loro.
Reminiscenze di scuole elementari e medie: i leoni alati di Ninive degli Assiri e la stele di Hammurabi, monolite di basalto nero inciso in cuneiforme con le prime (o quasi) leggi del mondo occidentale; nasce qui l’occhio per occhio, dente per dente. Che non è vendetta, è giustizia; suona un po’ primitiva ma è giustizia: la pena deve essere proporzionale al reato. C’è anche una sorta di tariffario professionale: il medico che guarisce un nobile viene pagato tot, se guarisce un artigiano mezzo tot, se guarisce uno schiavo un quarto di tot. Perché uno schiavo non può permettersi di pagare la parcella come un nobile ma ha comunque il diritto di essere curato. Oppure perché la vita di un schiavo vale un quarto di quella di un nobile? Forse entrambi.
Angoli nascosti riservati a curiosi in cerca di bizzarrie: la ricostruzione di una chiesa copta d’Egitto con mosaici paleocristiani orientaleggianti, ad esempio.
La caotica e tentacolare stazione Metro-RER di Chatelet-LesHalles mi affascina ogni volta che ci sprofondo dentro. Le Malebolge dantesche me le immagino un po’ così, diavoli uncinati a parte. O forse fra i tapis roulants e le scalemobili di quel frenetico mondo sotterraneo ci sono pure loro, chissà.
Incredibile la fede (o l’orgoglio d’artista) con cui i gotici mastri vetrai hanno decorato le parti più alte delle vetrate della Sainte Chapelle, i cui personaggi biblici in vetro colorato sono assolutamente indistinguibili se osservati dal basso, anche con moderni occhiali. Ma la fede è la fede…
Uno sta tre giorni a Parigi camminando come l’ebreo errante e non esce dai quattro arrondissements centrali. Ce ne sono altri 16, più tutta la banlieue. Per la prossima visita alla cara zia ho già un elenco di cose e luoghi periferici da ritornare a visitare – il Père Lachaise, Saint Germain en Laye, la Villette… o da conoscere per la prima volta – la tomba di Napoleone, la Butte Chaumont, la Biblioteca Mitterand… Appena possibile.