Descrizione
Alle 9,37 di venerdì 28 giugno ero nel municipio di Pietrabruna, grazioso paese nell’entroterra di Imperia, a parlare col sindaco; abbiamo visto la fine del ponte in streaming sul computer. Poi l’ho rivisto a casa in due tg durante l’ora di pranzo. Non lo avrei immaginato, prima, che mi sarei commosso guardando l’esplosione e il crollo; ma poi seguendo i telegiornali mi sono reso conto che non ero assolutamente l’unico genovese con quello stato d’animo. Gli volevo bene. Anche se non l’ho mai chiamato Morandi: nel mio lessico personale era il Ponte. Senza aggettivi, senza aggiunte. Quasi “quello che non ce n’è altro” come il salotto Luigi XV dei Manezzi di Govi.
Come se fosse morto un parente; un cugino, visto che è – era – poco più giovane di me. Un cugino che ho frequentato molto di più di quanto io frequenti i miei cugini veri, coi quali ci vediamo poche volte all’anno. Invece, il Ponte, ci sono passato sopra non so quante straquante volte, soprattutto negli ultimi vent’anni nei miei andirivieni tra Genova e Sanremo. L’automobile sapeva da sola cosa fare, quando girare il volante, quale velocità tenere. Avrei potuto percorrerlo a occhi chiusi. Avrei potuto essere tra i 43 uccisi…
Venerdì pomeriggio sono passato sulla Guido Rossa, la testa girata di lato a osservare la valle ormai “vuota” come non l’avevo mai vista da quando ho memoria della mia vita; guardando la valle depontata mi è venuta in mente quella poesia di Montale “…il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore da ubriaco.” Il poeta faceva un discorso molto più esistenziale, ma anche la distruzione di un ponte ha un valore come simbolo, un senso come metafora dell’esistenza. Il ponticidio era necessario, indispensabile, inderogabile, urgente, lo so bene. Però che tristezza…
Si dice “Il Re è morto, viva il Re!”, quindi adesso diciamo “il Ponte è morto, viva il Ponte!”. Il Ponte rinascerà più bello e più superbo che pria, Renzo Piano anche meglio di Petrolini. Spero proprio che sia così; ne abbiamo bisogno tutti, per le banali attività quotidiane della vita, del lavoro, del commercio, e per ritrovare la fiducia in noi stessi genovesi e continuare a essere orgogliosi della nostra città.