Perché a me Genova piace? Per un sacco di motivi, chiaro, ma uno di essi è che si può essere genovesi in modi diversi, molto diversi. Vado a spiegarmi:
Genova non sarà una metropoli di dimensioni mondiali ma non è nemmeno un paesino sperduto: è la sesta città italiana per abitanti, ha una superficie piuttosto vasta, superiore ad esempio a Torino e a Milano, ed è assai varia, anzi “amena” per struttura e condizioni geografiche. Appunto: sale dal livello del mare ai 1183 metri del monte Reixa, il suo territorio è per più del 90% collinare o montuoso, e solo un quarto di esso è edificato e urbanizzato, il resto è campagna. E qui viene il bello, nel senso che ci sono genovesi al 100% come me, che eleggono lo stesso sindaco e pagano la stessa tassa sulla spazzatura e lo stesso ICI, eppure vivono in condizioni ambientali molto diverse. Non intendo più poveri o più ricchi, ma meno cittadini e assai più campagnoli. Una vita più simile nella pratica a quella dei contadini dei paesi dell’Appennino che a quella della gente di città, pur essendo a tutti gli effetti gente di città.
Sulle pendici collinari del versante sinistro idrografico della bassa val Polcevera, nel popolare quartiere di Rivarolo, olim terra di industria pesante ora sede di moderni centri commerciali e società di terziario avanzato, sulle colline a est del torrente, dicevo, passa a mezza costa una stretta strada a blandi saliscendi, sui 250-300 metri di quota, che dalle Mura Nuove seicentesche, presso la fu-porta di Granarolo, si inoltra nell’entroterra, verso nord. La via è unica ma prende diversi nomi: via ai Piani di Fregoso, via Begato, indi via San Lorenzo di Casanova, e qui lascia il comune di Genova e entra in quello di Sant’Olcese, terra di ottimi salami affumicati. Di San Lorenzo di Casanova già ve ne parlai, parecchio tempo fa. Oggi ho percorso le prime due tratte, invece. Che sono simili, ma più “tipiche”.
Molte sono le ragioni di interesse di questo viottolo campestre male asfaltato; per cominciare, è un viottolo onusto di storia: su questo percorso si muovevano già i Liguri preistorici, preromani, questa era la tratta iniziale di una di quelle vie commerciali che si sogliono dir “del sale” che collegavano i porti della costa con la Pianura Padana e l’Europa continentale. Lungo questa via nei secoli avanti Cristo viaggiavano probabilmente a dorso di mulo o a spalla le merci che sbarcavano nell’insenatura del Mandraccio sotto il villaggio etrusco-fenicio-greco-ligure di Genua, Xenoa o come diavolo si chiamava. Si percorreva il versante sinistro del Polcevera a mezza costa attraversando piccoli villaggi abitati assai presumibilmente da popolazioni delle tribù Liguri, fino alla Crocetta di Orero, basso valico che dal versante marino menava, e tuttora mena, alla valle Scrivia padana. I Romani poi la fecero diventare la via Postumia, che collegava Genua a Derthona (Tortona) forse attraverso Pontedecimo (dal nome sembrerebbe una stazione di posta lungo la via) e il passo della Bocchetta, e a Derthona si entrava nella rete di strade consolari dell’impero.
Nei secoli della Repubblica di Genova questo tratto iniziale di via “Postumia” restò abbastanza in vigore e la Bocchetta, pur essendo più elevata della Crocetta di Orero (più di 700 metri contro 460), era preferibile per ragioni politiche: i due versanti della Bocchetta erano interamente genovesi (Pontedecimo di qua, Voltaggio Gavi e Novi di là) mentre lungo la valle Scrivia c’erano i Feudi Imperiali, piccoli territori (Torriglia e Arquata, ad esempio) governati da famiglie erette a feudatari dall’imperatore del Sacro Romano Impero, e poco importa che spesso fossero le stesse famiglie che a Genova governavano, litigavano, si ammazzavano l’un l’altra ed eleggevano i dogi: lì erano capi di stato esteri, e c’erano confini e pedaggi, e insomma era più facile scarpinare sui tornanti della Bocchetta ma restare in patria fino a Novi Ligure e alla pianura di Alessandria, per i mercanti.
Oggi il valico della Crocetta di Orero è scaduto a viabilità provinciale; la Bocchetta anche, è troppo in quota, e le vie di transito passano dall’intermedio e poco elevato valico dei Giovi (470 mt), poco considerato nei secoli andati perché soffrì dello stesso problema dei Feudi Imperiali, ma sfruttato bene dai Savoia dopo l’annessione di Genova col congresso di Vienna, che vi fecero passare la Strada Reale per Torino (attuale SS35 dei Giovi) e la ferrovia.
Comunque poco prima dell’arrivo dei Savoia il primo colpo all’importanza della via Postumia di mezza costa lo diede il doge Giobatta Cambiaso nel 1700 e sübbia, che per poter raggiungere la sua villa di Cremeno (oggi non lontano dal casello A7 di Genova Bolzaneto), fece aprire la Strada Cambiasa, in fondovalle lungo il Polcevera, che essendo a bassa quota, larga e carrozzabile divenne preferita rispetto alla vecchia via di collina. E divenne infatti il primo tratto della Strada Reale sabauda, e oggi costituisce l’asse di viabilità principale di Certosa, Rivarolo, Bolzaneto, San Quirico e Pontedecimo. Vale solo la pena constatare che le difficoltà di traffico che oggidì attanagliano Genova hanno nobili e antichi antenati: una città che nonostante i suoi 26-27 secoli di vita si è aperta al traffico su ruote solo poco più di 200 anni fa, e prima si poteva raggiungere solo per mare o a piedi o a dorso di mulo, come può oggi non avere problemi di traffico? Va ben.
Quindi, dicevamo, la prima ragione di interesse per la strada Piani di Fregoso – Begato è la sua antica e nobile storia di via di commercio e comunicazione preistorica, romana, altomedievale. Attraverso un paesaggio, fra l’altro, che 22 o 11 secoli fa non doveva essere molto diverso da com’è oggi, e attraverso piccoli borghi contadini che oggi sono frazioni di Genova, ma che molto probabilmente sono altrettanto antichi del centro città, se non forse ancor più vecchi.
Tiremm’ innanz. Secondo motivo il nome: Piani di Fregoso. Solo un inguaribile ottimista al termine di una notte di bisboccia con donnine e champagne poteva chiamare questa zona “Piani” di Qualcosa. Dove sono i Piani? Qui al massimo ci sono mezze fasce arrampicate alla collina, qualunque persona di buon senso per “piano” intende cose assai diverse. Va ben 2.
Terzo motivo il paesaggio: un castagneto ceduo, non fittissimo ma ben tenuto, ampio, profumato di bosco, colorato con tutti i colori delle stagioni, giallo in autunno, grigio in inverno, verde chiaro in estate eccetera, un vero bosco, a 15 minuti di vespa o auto dal centro e dai suoi rumori e fumi e folle. Ci si va a cercare castagne e funghi, e se ne trovano. A volte si trovano anche vecchie auto distrutte e rovesciate, fra il sottobosco ma l’intelligenza è un bene raro, molti umani ne sono privi purtroppo per loro. A caccia non si va, è vietata. Vi scorre qualche ruscelletto per lo più asciutto, tanto più asciutto in questo autunno falso, tanta pioggia l’anno scorso, un anno con un autunno lunghissimo e senza inverno, quanta poca quest’anno, anno con un estate lunghissima e senz’autunno. Bellissimo ‘sto castagneto soprattutto per una città come Genova, fondamentalmente sempreverde: a parte i pochi viali di ippocastani e platani o acacie, qui si abbonda di lecci, mimose, un po’ di palme, pini marittimi, insomma, è difficile cogliere l’evolversi delle stagioni osservando la vegetazione in questa città. Poi uno va a Fregoso, ci mette pochissimo, e si trova in un autentico, umido e silenzioso bosco appenninico. Adatto anche agli ozi sentimentali serali giovanili nel caldo della tua automobile, sia che tu voglia dedicarti a filosofiche seghe mentali con affezionate amiche, sia che intenda praticare più concrete attività fisiche.
Last but not least, come dicevo all’inizio, la gente che vi abita: a un certo punto di via Begato c’è il piccolo borgo di Begato, appunto una di quelle frazioni contadine e campagnuole del comune di Genova vecchie di chissà quanti secoli e millenni; però non c’è un collegamento carrozzabile tra il tratto di via Begato che arriva da sud, da Fregoso, ovvero quello che ho percorso io, e il centro del borgo. A Begato in macchina e in autobus ci arrivi direttamente dal fondovalle, attraversando gli infami palazzoni-dormitorio del CIGE, nati negli anni Ottanta, passando sotto la “Diga”, museo dell’emarginazione e dell’alienazione urbana moderna. Ogni città c’ha i suoi, di questi musei, vero? Beh, via Begato arriva al piccolo borgo attraverso una creusetta pedonale, e se vuoi arrivare in auto nelle casette-cascine di questa via, che pur sono molto vicine alla chiesa e alle case di Begato paese, ti devi percorrere i due km dei Piani di Fregoso eccetera, fra i pezzi di asfalto rotto e la fanghiglia; mentre giravo a fatica la Vespa in fondo alla via, di fronte ai gradini mattonati che portano i viandanti verso la chiesa, pensavo: la gente di ‘ste 4, 5 case col sole e l’asciutto va ben, ci mette un po’ ma poi sulle strade vere ci arriva, ma quando nevica? Raro, ok, ma succede. Quando ghiaccia? In città capita una volta ogni 15 anni ma qui non è città, è più alto, più umido, più freddo. Questi sono più vicini al centro città, ai teatri, ai negozi, ai cinema, agli ospedali, di chi abita a Voltri o a Nervi, ma che maggior fatica devono fare per raggiungere teatri e ospedali e cinema, con quel lungo tratto di sentiero pseudocarrozzabile nel fondo del bosco come unica via obbligata. Certo, se ti abitui a vivere in questa campagna di orti prati e galline col mare sottile all’orizzonte forse ci stai bene e non te ne vuoi andare, ma si sentiranno mai un po’ soli e abbandonati nelle fredde sere d’inverno e di maltempo?