Un argomento di cui già scrissi un paio d’anni fa dopo aver ascoltato una interessantissima lectio magistralis – “L’utopia tranquilla delle piante” – nel Salone del Maggior Consiglio al Palazzo Ducale durante il Festival della Scienza di Genova del 2011.
A parlare era Stefano Mancuso, docente di neurobiologia vegetale all’Università di Firenze, che studia “l’intelligenza delle piante”, ovvero come i vegetali percepiscono il mondo intorno a loro, come se lo rappresentano, come interagiscono con esso, come prendono decisioni importanti per la loro sopravvivenza eccetera. Insomma, come le piante fanno tutto ciò che serve per avere una vita la più lunga, sana e felice possibile. Che sono tre obiettivi a cui sia noi umani sia gli animali miriamo dal momento della nostra nascita (vivere a lungo e bene nel corpo e nello spirito). Lo fanno pure le piante.
Intelligenza delle piante non significa che un ciliegio si chieda se esiste Dio o sappia calcolare la radice quadrata di pi greco o componga sonetti, ma anche quando si dice che i cani e i delfini sono animali intelligenti non significa niente di tutto ciò. Intelligenza delle piante significa che anche i vegetali, come gli animali, sanno rendersi conto di ciò che avviene intorno a loro e sanno prendere decisioni per interagire al meglio con questo “avvenire intorno a loro”.
A loro primo vantaggio già si può dire che le piante hanno un’intrinseca superiorità sugli animali, ovvero potrebbero benissimo vivere senza di essi mentre gli animali (noi uominicchi compresi) non potremmo vivere senza vegetali. Le piante sono autotrofe, si fabbricano da sole il nutrimento, noi animali siamo eterotrofi e dobbiamo mangiare materia organica, quindi, in ultima analisi, dobbiamo nutrirci di piante, direttamente come le mucche o indirettamente come i leoni. Quindi dipendiamo da loro, che si sono evolute in modo più “furbo” di noi animali.
Non troppo tempo fa il professor Mancuso ha pubblicato un libro ” a quattro mani” sullo stesso argomento, si chiama Verde Brillante (Giunti Editore), ed è stato per me un piacere leggerlo. Partendo dall’evidente differenza che le piante hanno rispetto agli animali, cioè che sono immobili e non possono scappare dai pericoli, descrive come si è sviluppata la fisiologia vegetale per far fronte a questo fatto, e come si sono sviluppati i cinque (o sei, o quindici) sensi nei vegetali, udito, vista, tatto, olfatto, gusto eccetera, e come dormono, e come si organizzano la vita sociale con amicizie e antipatie, e come si alleano fra di loro e con gli animali, o come li combattono, e le strategie sessuali che adottano per riprodursi eccetera.
Affascinante, per me; un libro semplice e divulgativo ma che fa ben sentire come le piante sono “nostre sorelle” e compagne di viaggio in questo universo, esattamente come lo sono gli animali e come loro sono meritevoli di amore e di rispetto. Anche se non parlano, non miagolano, non scodinzolano per salutarci, non si lamentano quando le maltrattiamo, subiscono in silenzio ogni violenza che facciamo loro.
Riflettere sulla complessità della vita vegetale è una di quelle occasioni in cui risulta per me maggiormente evidente l’esistenza di Dio. So bene che molti scienziati sono atei e più aumentano le conoscenze scientifiche più si convincono che per spiegare l’esistenza dell’universo non è necessaria “l’ipotesi di Dio”, come disse Pierre Simon de Laplace a Napoleone. Ma a me invece succede il contrario: più conosco la complessità dell’universo, più trovo insostenibile l’ipotesi della non-esistenza di un Ente Creatore. Che tutto esista “per caso”, mi sembra dal punto di vista scientifico troppo irrealistico, troppo difficile, troppo improbabile per essere vero. Inoltre, rifiutare Dio per attribuire ogni responsabilità al Caso – qualunque cosa esso sia – e ogni autorevolezza a qualche pur ammirevole Teoria del Tutto, mi sembra che in fondo non sia altro che una (sciocca) forma di idolatria. Bah…
Uno dei grandi quesiti della biologia è “cosa distingue la vita dalla non-vita, gli esseri viventi dalla materia non vivente?” Io sono fortemente convinto che la differenza consista nel fatto che gli organismi viventi sono coscienti di esistere, mentre i sassi no. Certo questo rendersi conto di esistere sarà probabilmente diverso per modalità e intensità nei diversi organismi, un essere umano probabilmente percepisce sé nel mondo diversamente da un gatto e questo diversamente da un faggio, e da un lombrico, e da un fungo, e da un virus…. ma tutti costoro sanno di esistere. E quindi, ciascuno a suo modo, possiede un’intelligenza; alcune delle quali sono complesse e ben strutturate, basti pensare a quello che sanno fare i batteri, a come si organizzano in comunità popolose e come comunicano e si scambiano informazioni.
Così come è un grande piacere fisico ed emotivo per me il contatto fisico coi gatti lo è altrettanto quello con le piante: camminare nella “giungla” del giardino di Sanremo o nel bosco paterno di Prale e sentire le foglie degli alberi e dei cespugli che mi sfiorano la faccia è una sensazione meravigliosa. Percepire il profumo delle piante intorno a me, guardarmi intorno e vedere tutto verde, camminare nell’ombra fresca e viva delle foglie – ben diversa dall’ombra ferma e piatta delle tettoie, dei tendoni – appoggiare la mano o la schiena contro il tronco di qualche albero alto 2,4,10 volte più di me… C’è Dio, fra quelle piante vive e sensibili.
Che poi… cos’era il Paradiso Terrestre descritto nella Bibbia? Un giardino, ovvio.
(Scritto il 1 aprile 2014)